Torneranno i prati

A 100 anni dall’Armistizio che segna la fine della Grande Guerra, tra Regno d’Italia e Impero Austro-Ungarico… l’Altopiano di Asiago e le montagne venete portano di nuovo i segni della distruzione.
Forse è un caso, forse no: ma lo spettro degli alberi divelti e delle pietraie che affiorano non è distante dall’immagine delle nostre montagne al termine del conflitto, dopo essere diventate territorio nemico al seguito della Strafexpedition, poi terra di nessuno e infine di nuovo italiane.
Ho visitato nelle mie vacanze dei miei 22 anni di vita (passate nel 90% nell’Altopiano di Asiago) una buona parte dei resti di forti militari, trincee, gallerie, camminamenti, ripari, sentieri che fino a ieri trasudavano di storia ma resa incantevole dai boschi ripiantati nel ventennio. Ora, una delle foreste di abeti e larici più importanti nel suolo italiano è in ginocchio.
E si è portata dietro fili elettrici e telefonici, lasciando al buio (e ora ai gruppi elettrogeni) un’intera popolazione.
In pace (forse) oggi riposano solo i 50.000 poveri soldati nei cimiteri e nei sacelli sparsi per i boschi o nel grande ossario fascista costruito nel centro della piana di Asiago.
Un grande altare bianco costruito per raccontarci che il sacrificio dei “caduti per la libertà” non è stato vano: morti per 1 metro di terra di nessuno, 100 metri di trincea, in mezzo alle pietraie dell’Ortigara o ai declivi di Cima Larici, Cima Dodici, Monte Verena, sul Piave, sull’Isonzo, sul Grappa, sulle pietraie del Carso,…
Checché il vicino Piave mormorasse “non passa lo straniero”, sono 23 le nazionalità dei soldati sepolti nell’altopiano.
Sacrari, costruiti in pieno periodo fascista e impregnati della sua retorica celebrativa e patriottica, che muti e immobili trasmettono una sensazione di impotenza e dovuta riconoscenza nei confronti di quei Nmila nomi che ivi riposano, anonimi ma conosciuti, che hanno scritto le pagine della storia, ai comandi di (a volte folli) generali e ufficiali, in quella che per alcuni è l’ultima guerra di indipendenza, ma per tutti è la “Grande Guerra”, la I Guerra Mondiale.
Il Sacrario di Redipuglia recita centinaia di volte la scritta “Presente”, come scalinata di un grande Calvario alla cui sommità stanno appunto tre croci. E 100.000 morti, di cui noti meno della metà, deceduti nella disfatta militare di Caporetto.
Ma un messaggio positivo per ieri (e soprattutto per oggi) il regista Ermanno Olmi ce l’ha lasciato nel suo ultimo film, prima di morire, proprio ad Asiago: sì, “torneranno i prati”, e si chiameranno speranza, la sola che può cancellare i solchi incisi sulla natura, le ferite inflitte all’uomo dalle trincee.

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